Le regioni sono prodotti stranieri - servizio redazionale
Lo Stato italiano non è sempre stato regionale. Anche se le Regioni erano previste nella Costituzione, il popolo italiano non ha mai espresso scontento di essere sotto uno stato centralizzato e non ha mai richiesto “autonomie” regionali.
L’ordine partì dall’alto, per la precisione, dal gran massone Ugo La Malfa, l’uomo del Partito Repubblicano, appoggiato da Cuccia e da Mattioli della Banca Commerciale. Era il fiduciario della finanza internazionale; infatti, fu l’unico italiano che gli anglo-americani invitarono agli incontri di Bretton Woods in cui si mise in atto l’ordine monetario mondiale dei vincitori. Il Partito Repubblicano di La Malfa, che aveva circa il 3 per cento dei voti, fu imbarcato da De Gasperi fin dal primo governo, perchè senza i repubblicani, non arrivavano i soldi del piano Marshall: dunque La Malfa dettava legge. Fu lo stesso La Malfa a chiarire perché voleva le regioni: servivano ad erodere la sovranità degli stati-nazione.
Jean Monnet, il francese che distribuiva i soldi del piano Marshall, aveva elaborato il progetto di un’Europa di Regioni, senza Stati. L’Unione europea dall’alto e le Regioni dal basso devono sminuire e smangiare l’autorità dello Stato-Nazione. Nel progetto mondialista, la globalizzazione si realizza appunto regionalizzando il mondo, frammentandolo in piccole entità sub-sovrane, senza dimensioni economiche nè alcun peso politico per negoziare con qualche credibilità. Gli anglo-americani imposero i Laender alla Germania. De Gaulle, finchè potè e campò, si oppose alla regionalizzazione della Francia, il più antico stato unitario d’Europa. Anche Francisco Franco, finché campò, conservò la Spagna come stato centralizzato.
Le regioni hanno incrementato massicciamente l’elefantiasi burocratica; hanno moltiplicato poltrone e lievitato il malaffare della casta. Avrebbero potuto contribuire al buon governo: 1) solo se bilanciate da un forte e autorevole potere centrale 2) solo se l’autogoverno non ricalca il parlamentarismo partitocratico. Queste due condizioni non sono state rispettate.
Lo Stato partitocratico è sostanzialmente debole (e ulteriormente indebolito dalle regioni). I parlamentucci regionali hanno replicato sprechi e difetti del parlamento nazionale. Questi sotto-governicchi politico-economici hanno alimentato malavita, favoritismi, malaffari e malgoverno, più velocemente del livello nazionale.
Le regioni rappresentano semplici espressioni verbali; dietro cui non c’è niente di reale. La vera tradizione e storica realtà italiana sono i Comuni e i territori e le zone storicamente e culturalmente connotate, che coincidono quasi sempre con le Province (Polesine, Garfagnana, Sannio, Irpinia, Monferrato, Versilia; Maremma, Capitanata, Barbagia, ecc…). Perciò le regioni-espressioni verbali vanno abolite come centri di potere feudale e, oggi castale. Devono essere potenziate e valorizzate le vere regioni, cioè le Province, e ovviamente i Comuni, la vera tradizione autonomista d’Italia. Meno regioni, più Italia.