Perché posso dirmi omofobo - servizio redazionale

22.02.2015 12:05

Di questi tempi chi critica le unioni omossessuali o, in generale, contrasta l’invadente e invasiva campagna mediatica omosessualista, si sente in obbligo di premettere che non è omofobo, sia quando esprime le sue critiche in pubblico come nei convegni, sia quando conversa tra amici. Ora, chi fa questa premessa si preoccupa ingenuamente di non apparire intollerante, di mostrarsi rispettoso della vita privata altrui, comprensivo per le altrui difficoltà, ma soprattutto cerca di sottrarsi preventivamente a un’accusa imbarazzante, se non addirittura a un’infamia. Ma questa formula cautelativa, diventata inavvertitamente obbligatoria, dimostra che il movimento omosessualista, tramite il linguaggio, ha massicciamente manipolato le idee e ha raggiunto il suo obiettivo: il ricatto e l’intimidazione civile e morale dei cittadini. Oggi le guerre più subdole si scatenano attraverso l’uso delle parole. Con queste armi improprie posso facilmente neutralizzare il mio nemico perché lo disarmo delle sue idee.

Nell’affrontare la ricerca sull’omosessualità, gli psicologi rilevavano che la paura di essere considerato omosessuale domina la mente dei maschi “normali eterosessuali”; e la definirono “omofobia”. Il termine nasceva clinicamente neutro perché descriveva semplicemente il sentimento naturale e istintivo di non voler diventare omosessuale, ma non di ostilità contro gli omosessuali. Ma la lobby omosessualista mondiale se ne appropria, lo carica di un significato fortemente moralistico, lo trasforma strumentalmente in una sorta di condanna senza scampo per il sentire comune, se l’inventa come reato, lo gioca sul mercato delle idee e intorno a esso avvia una massiccia operazione strategico-mediatica. A partire dal secondo dopoguerra i movimenti omosessualisti, specie in America, cominciano a cavalcare e sfruttare l’onda emotiva seguita allo sterminio nazista, accomunandosi alla sorte degli ebrei e di altre minoranze .

Per di più, gli omosessuali organizzati non si accontentano del fatto che l’omosessualità è ormai ampiamente tollerata, ma intravedono l’opportunità di conquistare una posizione di privilegio, di acquisire una rilevanza sociale positiva e un’influenza culturale atta a intaccare il sentire comune, di leggere in modo distorto le leggi della natura, per poi conquistare una serie di veri e propri riconoscimenti giuridici. Quelli che saranno chiamati “diritti civili” diventano, con una forzatura ante litteram, “diritti degli omosessuali”, cioè la pretesa, data per scontata e indiscutibile, che una determinata inclinazione sessuale abbia diritto a una tutela giuridica particolare.

Ora la lobyy omosessualista internazionale ritiene che le norme che regolano la civile convivenza e proteggono chiunque, a prescindere dalle inclinazioni sessuali, sia nella sfera privata che in quella pubblica, siano insufficienti. Né le norme che puniscono le aggressioni fisiche, le offese all’onore, nei confronti di chiunque siano commesse, né tutti i commi dello stesso art. 3 della Costituzione possono accontentare l’omosessuale organizzato. L’omosessualismo mira a costituirsi specie protetta analoga alle categorie particolarmente deboli (minori, disabili) o a soggetti rappresentanti di valori di particolare rilievo morale e sociale o istituzionale. Per assicurare al fenomeno omosessuale un rilievo sociale e culturale tale per cui il rispetto richiesto diventa anche obbligo morale, gli omo-gruppi strumentalizzano anche la lotta al razzismo antisemita succeduta all’esperienza nazista. Da un lato si lagnano di uno stato di minorata difesa dovuta a un diffuso atteggiamento presunto persecutorio; dall’altro valorizzano il fenomeno come normale, colpevolizzando il comune sentire che lo considera anormale. In America per normalizzare l’omosessualità fu imposto, d’autorità e senza verifica scientifica, all’Associazione degli psichiatri americani (APA) di cancellare l’omosessualità dall’elenco dei disturbi della personalità scientificamente studiati. Nondimeno, constatato che, a prescindere dalle catalogazioni cliniche, la gente è portata a considerare in ogni caso l’omosessualità come un disordine, gli omosessualisti progettano di cambiare il modo di pensare della gente, di fare vedere alla gente le cose non come sono ma come si vuol dare a intendere che siano, di forzare i meccanismi naturali per cui le idee nascono dalla realtà delle cose. Per impadronirsi dell’uomo occorre impossessarsi della sua coscienza. La coercizione morale è la forma più radicale e più efficace di violenza contro l’uomo, che i regimi totalitari solitamente mettono in atto per vincere ogni resistenza laddove non possono riuscirci con il terrore fisico.

Per modificare il sentire comune gli omosessualisti percorrono due vie: la persuasione occulta e la pressione psicologica. Tramite la persuasione occulta introiettano l’idea che l’omosessualità sia una condizione positiva. Poi, tramite la pressione psicologica criminalizzano gli atteggiamenti che ostacolano la conquista di una tutela giuridica privilegiata. Per persuadere che l’omosessualità è un valore usano anzitutto la retorica della diversità, il cui elogio diventa mediaticamente presente a ogni ora e in ogni dove, e che si abbraccia furbescamente alla retorica dell’antirazzismo. Inoltre, a sostegno della pretesa di equiparazione giuridica ricorrono al presupposto dell’omosessualità come variante sessuale, il che è contraddittorio: si pretende di applicare il principio della parità di trattamento per una “variante”.  Ma questa contraddizione, volutamente ignorata, consente di giocare due carte: quella della diversità e quella della naturalità, a seconda delle circostanze e delle convenienze. Il vantaggio è duplice ai fini di un “corretto” ed efficace condizionamento mentale. Sul piano educativo si spende la prima carta: si educa alla diversità e all’affettività che giustifica e assolve qualunque pulsione. Sul piano giuridico invece si gioca la seconda: si invoca l’uguaglianza per ottenere l’agognata estensione dei diritti. Così si utilizzano indifferentemente criteri opposti ma funzionali per un unico fine.

Intanto, il martellamento mediatico quotidiano, mentre normalizza socialmente l’omosessualità come realtà familiare, diffonde paradossalmente il mito che rappresenta gli omosessuali come una minoranza oppressa. La propaganda vittimista vorrebbe convincerci che il fenomeno omosessuale è oggetto di repressione e causa di discriminazione, pur non esistendo nessuna legge nei nostri ordinamenti in questa direzione. La diffusa cultura del piagnisteo crea mediaticamente la vittima virtuale, che viene a beneficiare di una virtuale compassione di popolo, mediaticamente sollecitata.

Ma la propaganda vittimista che induce atteggiamenti benevoli verso l’omosessualità, al movimento omosessualista non basta. Vogliono reprimere quelli ostili, vincere le resistenze più forti che respingono ogni assurda parificazione e che sbarrano la strada al diritto di famiglia e all’estensione del concetto di famiglia. Come dire: se ti persuadi, bene; se non riesco a persuaderti, allora ti reprimo, dapprima con l’arma della sanzione morale contro ciò che a me suona politicamente scorretto, e poi con la sanzione penale. Ecco dunque che dal 2006 l’Unione Europea accoglie trionfalmente l’omofobia nelle sue risoluzioni e la trasforma in un tormentone per condannare ossessivamente l’atteggiamento interiore di ostilità verso il fenomeno omosessuale, che non deve esistere manco in interiore hominis perché anche in tal caso, siccome il catechismo europeista lo definisce eticamente riprovevole e politicamente scorretto, sarà represso con la minaccia della sanzione.

La persecuzione della “’omofobia” in quanto atteggiamento interiore da punire, rappresenta il punto di non ritorno di un’involuzione giuridica e politica che soltanto i regimi totalitari del Novecento hanno conosciuto. La persecuzione delle idee e dei sentimenti, presupposti o solo sospettati, rinnega l’intera storia della civiltà giuridica e smaschera la faccia barbarica e bestiale della dittatura totalitaria. Su questa barbarie culturale e giuridica, la posticcia democrazia europoide sta imbastendo il proprio ideale di legge penale. Un reato di tal fatta distrugge la secolare cultura giuridica fondata sul principio irrinunciabile per cui possono essere puniti solo le azioni e non i pensieri; segna la fine di ogni garanzia di libertà e di difesa dall’arbitrio del potere.

Per le rozze, arbitrarie, surreali e insidiose direttive euromofile i pensieri e i sentimenti devono essere puniti, dopo averne individuato il contenuto nelle parole, negli scritti e nelle scelte personali in cui si manifestano. Ma allora un certo sentimento, una certa idea della natura, della donna, dell’uomo, della famiglia, della società, in breve, tutto ciò che non è ispirato dallo stile di vita omosessuale può essere tacciato come omofobo, o accusato di suscitare odio cosiddetto omofobico. Anche il semplice fatto di ignorare l’omosessualità, di non avere opinioni riguardo a essa, di aver sospeso il giudizio sul tema, di non volersene occupare, potrà essere considerato omofobia.

Dunque cautelarsi dichiarando a premessa di ogni discorso di non essere omofobo significa accettare l’imposizione per legge dell’omosessualità come valore, capace di schiacciare valori veri e libertà garantite dall’ordinamento; significa subire l’arbitrio liberticida di tutto un movimento finanziato dalle oligarchie internazionali. Con quella premessa faccio mio il presupposto per cui il fenomeno omosessuale rappresenta un valore che possa venire imposto socialmente, un modello educativo modellato sugli schemi dell’omoerotismo, e tollerata ogni forma di propaganda diretta a imporlo senza scampo.  Significa accettare che venga punito il proprio modo di pensare, che venga conculcata la propria libertà, accettare di essere privato della possibilità di difendersi contro l’imposizione mediatica, culturale, educativa e legislativa di un modello che confligge con la ragione e con la natura.  Se mi dichiaro non omofobo soltanto per timore di non essere considerato ragionevole, aperto e responsabile, blandisco l’avversario reale o potenziale e indirettamente lo supplico di non accusarmi di intolleranza. Quella parola è un manifesto e un programma, e usarla per distanziarsene significa riconoscere come plausibile quel manifesto e quel programma. Chiunque si affanni a difendere principi etici, culturali e giuridici che dall’applicazione di quel criterio sono destinati ad andare platealmente distrutti, si eserciti a lanciare il boomerang.

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