
Quando l’omofobia si morde la coda
Si sa che ogni totalitarismo è diviso in se stesso. I sostenitori della Rivoluzioni francese non scapparono nemmeno loro dalla ghigliottina e le alte sfere del Partito comunista sotto Stalin finirono nei gulag una dopo l’altra. Succede anche oggi. Il giornalista di sinistra Diego Fusaro scrive sul blog del Fatto quotidiano un articolo sulla Grecia che ha approvato una legge sulle unioni civili, permettendosi di dire che le priorità di questo Paese sono altre. Piovono critiche a pioggia e si chiede di togliergli la penna di mano. Fusaro risponde con un articolo che in alcune sue parti è davvero da elogiare: “Il mio articolo sulle unioni civili in Grecia è riuscito, da quel che mi segnalano, a far perdere la pazienza a molti. Soprattutto a molti che, anziché leggere, starnazzano e ragliano scompostamente, subito liquidando come omofobo chiunque in tema di costumi dissenta dalla linea prestabilita dall’ortodossia del pensiero unico politicamente corretto. Non ho sentito, purtroppo, un solo argomento pertinente, che prendesse in esame i contenuti del mio articolo. Solo accuse di omofobia e urla scomposte, che è poi l’equivalente del buttare la palla in tribuna e del rovesciare la scacchiera. […] In effetti, la categoria di “omofobia” è ubiquitariamente presente, oggi, nel lessico giornalistico e nella pubblicistica. Il suo uso maniacale ricorda quello, in 1984 di Orwell, dello “psicoreato”, ossia del reato commesso da chi osi pensare cose che il “Ministero della Verità” ha deciso che non debbono essere pensate. […] Se come sempre più spesso accade, la categoria di “omofobia” diventa essa stessa una nuova categoria dell’intolleranza, con cui non si accetta l’esistenza di prospettive diverse, che ad esempio non siano immediatamente quelle emanate dal movimento Lgbt, allora la questione è ben diversa. Faccio per inciso notare che oggi basta un niente per sentirsi etichettare come omofobi: basta anche solo – ad esempio – sostenere che esistono secondo natura uomini e donne, o che affinché nasca un figlio ci vogliono un padre e una madre; o, ancora, che da sempre la razza umana, nella sua unitarietà, si riproduce tramite la differenza maschile-femminile. […] Fa ridere doverlo precisare, ma nel tempo della menzogna universale anche le cose più evidenti debbono essere ribadite con forza”. Poi Fusaro, da bravo comunista, ricorda che il prius del pensiero marxista è il conflitto sociale tra ricchi e poveri, tra capitalisti e proletariato e dunque questa battaglia tra etero ed omosessuali è solo sovrastruttura borghese che rallenta la lotta di classe, non accorgendosi invece – aggiungiamo noi – che il conflitto di genere è la tappa odierna del processo rivoluzionario: “Gli omosessuali non sono una classe sociale. Marxianamente, non ha alcun senso essere contro gli omosessuali o dalla parte degli omosessuali. Ha senso stare in concreto dalla parte dei lavoratori e degli oppressi, omosessuali o eterosessuali che siano, uomini o donne che siano. Non si capisce perché un omosessuale disoccupato o precario dovrebbe lottare insieme (e sentirsi affratellato) con un omosessuale miliardario o broker finanziario. Il pensiero unico mira anche in questo caso a frammentare il conflitto di classe e a destrutturare la coscienza di classe: a sostituire il conflitto capitale-lavoro, sfruttatori-sfruttati, con il conflitto eterosessuali-omosessuali, uomini-donne, migranti-autoctoni. Deve in ogni modo distrarre dal conflitto di classe. […] Mi si perdonerà, sono allievo di Carlo Marx, non di Vladimir Luxuria”